Dodici giorni ha lottato questa piccola creatura del Signore che ieri come un' acquila bianca ha preso il volo per il paradiso; ci siamo ritrovati per un momento di preghiera, l'abbiamo affidata alle braccia amorevoli di Maria che è Madre degli innocenti.
La mamma e il papà ora hanno bisogno del tuo sostegno ...
o Maria, Madre dei sofferenti!
Consolatrice degli afflitti!
pensando a questi avvenimenti rimane un senso di svuotamento, di arido silenzio, spontanea giunge la domanda ... ... Perchè?
Ho trovato questa bella riflessione tratta da un libro (Perché la sofferenza?) del religioso e teologo J.Galot (1919 2008).
Nelle nostre sofferenze si manifesta un disegno divino.
Quale atteggiamento ci insegna il vangelo di fronte alle sofferenze che non possiamo evitare?
Le parole di Gesù nel Getsemani risuonano come l’espressione modello dell’accettazione della sofferenza: “Abbà Padre … non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu”.
Il fatto che queste parole siano pronunciate dal figlio, mostra che la rinuncia alla propria volontà non è stata risparmiata a colui che era persona divina. Ma è anche la qualità del figlio che conferisce all’accettazione il suo carattere di abbandono filiale.
Al momento della prova l’accettazione della volontà del Padre richiede un profondo sacrificio. Istintivamente l’uomo vorrebbe condurre la sua vita a modo suo; quando incontra un ostacolo, è tentato di ribellarsi. Egli deve superare le proprie resistenze per offrire al Padre il suo consenso.
Per accettare la volontà del Padre bisogna riconoscere nella prova una manifestazione del disegno divino. In proposito conviene sottolineare lo sguardo che Gesù ha posato sugli avvenimenti che dovevano condurlo al supplizio della croce. In questi avvenimenti non ha distinto semplicemente il risultato delle manovre dei suoi avversari e la viltà di Pilato; ha colto anzitutto l’intenzione del Padre che guida gli eventi secondo i suoi progetti sovrani e utilizza in questo senso le libere decisioni degli uomini, i loro peccati. Nella sua preghiera Gesù non dice: “ciò che tu permetti”, ma “ciò che vuoi tu!”.
Il fatto che queste parole siano pronunciate dal figlio, mostra che la rinuncia alla propria volontà non è stata risparmiata a colui che era persona divina. Ma è anche la qualità del figlio che conferisce all’accettazione il suo carattere di abbandono filiale.
Al momento della prova l’accettazione della volontà del Padre richiede un profondo sacrificio. Istintivamente l’uomo vorrebbe condurre la sua vita a modo suo; quando incontra un ostacolo, è tentato di ribellarsi. Egli deve superare le proprie resistenze per offrire al Padre il suo consenso.
Per accettare la volontà del Padre bisogna riconoscere nella prova una manifestazione del disegno divino. In proposito conviene sottolineare lo sguardo che Gesù ha posato sugli avvenimenti che dovevano condurlo al supplizio della croce. In questi avvenimenti non ha distinto semplicemente il risultato delle manovre dei suoi avversari e la viltà di Pilato; ha colto anzitutto l’intenzione del Padre che guida gli eventi secondo i suoi progetti sovrani e utilizza in questo senso le libere decisioni degli uomini, i loro peccati. Nella sua preghiera Gesù non dice: “ciò che tu permetti”, ma “ciò che vuoi tu!”.
Non si può cercare di attenuare la responsabilità del Padre attribuendogli solo un consenso. In tutte le prove bisogna riconoscere una volontà dall’alto.
L' Eterno riposo
doni a lei, o Signore
e risplenda a lei la luce perpetua.
Riposi in pace.
Amen.
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