Ricevo e pubblico l'articolo che il Marco ha scritto in merito alla "trasferta" in Alaska con qualche fotina ... ...
Ken ha lo sguardo un po’ appannato, ma anche il mio non deve essere dei più svegli quando, all’arrivo della Susitna 100 miles, mi offre un passaggio in auto sino ad Anchorage. E’ un veterano di questa corsa e penso sia la migliore guida in grado di descriverla, meglio di sicuro di quello che potrei fare io. Ho cercato di immaginare il suo sguardo, i suoi pensieri, di sentire il suo cuore durante i preparativi della corsa e durante tutto il percorso della Susitna 100 miles, e quello che segue potrebbe essere benissimo il suo racconto, perciò…let’s go.
Il volo da Denver è puntuale; in poco più di 2 ore sono ad Anchorage, Alaska. Noleggio l’auto per una settimana, sono venuto qui qualche giorno prima per rilassarmi un po’ e sistemare le ultime cose. All’aeroporto l’addetto al noleggio insiste per darmi un’enorme pick up con quatto ruote motrici, e solo dopo parecchie insistenze riesco ad ottenere un’auto dalle dimensione più umane. Mi dirigo subito a casa di Rita e Brooks Wade. Li conosco ormai da anni e oltre ad essere gli organizzatori di questa corsa sono degli ottimi amici. Mi ospitano con la consueta cortesia e per qualche giorno farò base a casa loro.
I giorni successivi scorrono rapidi con gli ultimi preparativi come la sistemazione del materiale , la serata del “gear check” , e anche qualche puntata al Moose’s Tooth , una piccola birreria artigianale nella periferia di Anchorage, dove tiro a far tardi con qualche amico. Il giorno della partenza mi sposto circa 80 km a nord ovest di Anchorage, sino a raggiungere il Point Mc Kenzie General Store, una sorta di ristorante/spaccio che sorge ai bordi dell’interstatale, proprio all’inizio della Susitna Valley.
Il volo da Denver è puntuale; in poco più di 2 ore sono ad Anchorage, Alaska. Noleggio l’auto per una settimana, sono venuto qui qualche giorno prima per rilassarmi un po’ e sistemare le ultime cose. All’aeroporto l’addetto al noleggio insiste per darmi un’enorme pick up con quatto ruote motrici, e solo dopo parecchie insistenze riesco ad ottenere un’auto dalle dimensione più umane. Mi dirigo subito a casa di Rita e Brooks Wade. Li conosco ormai da anni e oltre ad essere gli organizzatori di questa corsa sono degli ottimi amici. Mi ospitano con la consueta cortesia e per qualche giorno farò base a casa loro.
I giorni successivi scorrono rapidi con gli ultimi preparativi come la sistemazione del materiale , la serata del “gear check” , e anche qualche puntata al Moose’s Tooth , una piccola birreria artigianale nella periferia di Anchorage, dove tiro a far tardi con qualche amico. Il giorno della partenza mi sposto circa 80 km a nord ovest di Anchorage, sino a raggiungere il Point Mc Kenzie General Store, una sorta di ristorante/spaccio che sorge ai bordi dell’interstatale, proprio all’inizio della Susitna Valley.
Siamo in 75 sulla linea di partenza. Qui ognuno dichiara in che divisione vuole partecipare, sci, bici o a piedi, in totale libertà. Unico obbligo avere con sé ad ogni check almeno le 15 libbre di materiale obbligatorio. C’è chi lo porta nello zaino, in genere i più veloci fra gli sciatori, chi nelle borse agganciate alla bicicletta, ma la maggior parte lo sistema in una slitta che verrà tirata per tutte le 100 miglia.
Go, go,go, è il grido che segnala la partenza. Parto con calma, lascio che sia il mio respiro a dettare il passo, senza affanni, ed è come fosse la prima volta: il cielo di un azzurro irreale, cespugli bassi, immensi boschi verdi e marroni e neve, neve, neve in ogni forma e foggia. Seguiamo la traccia lasciata dalle motoslitte che costituiscono l’unico modo per muoversi in questi territori, seguendo la pista giusta delimitata ogni tanto da assicelle di legno con un’estremità dipinta in giallo e un piccolo rifrangente che costituirà la nostra guida nella notte. Flat Horn Lake, il primo check point, appare in lontananza: un’enorme distesa ghiacciata, interminabile, sempre battuta da un vento tagliente. Arrivo, segno il mio nome e riparto, cercando di sfruttare le ore di luce residue. Avanti ancora , sino a Luce’s Lodge, seguendo il corso ghiacciato dello Yentna river che scorre sotto i nostri piedi coperto da oltre un metro di ghiaccio. Il crepuscolo sembra non finire mai, fa più freddo ora, mi copro meglio, metto la frontale e continuo a tirare la mia slitta. Nel buio, in completa solitudine, ogni tanto una luce : a volte sono slitte trainate dai cani, con i musher a incitarli, a volte sono altri concorrenti, i primi che già hanno completato il turnaround e stanno tornato indietro. Ti passano accanto nella notte, ti gridano un “good job”, così come faranno tutti gli altri concorrenti che incontrerò, e spariscono di nuovo inghiottiti dal buio. Mi fermo una mezz’ora a Luce’s Lodge e proseguo verso Alexander lake , a poco più di 53 miglia e da lì il percorso verrà rifatto in senso contrario per una buona parte. Ogni tanto si avvicina da lontano il rumore di una motoslitta dell’organizzazione, rallenta vicino a te , ti grida un “allo ok man?” e quando vede che alzi il pollice riparte lasciandoti solo per altre ore. Avanti ancora, con i piedi fradici, il naso che cola , la slitta che ti da uno strappo all’indietro ad ogni ondulazione del terreno .
Go, go,go, è il grido che segnala la partenza. Parto con calma, lascio che sia il mio respiro a dettare il passo, senza affanni, ed è come fosse la prima volta: il cielo di un azzurro irreale, cespugli bassi, immensi boschi verdi e marroni e neve, neve, neve in ogni forma e foggia. Seguiamo la traccia lasciata dalle motoslitte che costituiscono l’unico modo per muoversi in questi territori, seguendo la pista giusta delimitata ogni tanto da assicelle di legno con un’estremità dipinta in giallo e un piccolo rifrangente che costituirà la nostra guida nella notte. Flat Horn Lake, il primo check point, appare in lontananza: un’enorme distesa ghiacciata, interminabile, sempre battuta da un vento tagliente. Arrivo, segno il mio nome e riparto, cercando di sfruttare le ore di luce residue. Avanti ancora , sino a Luce’s Lodge, seguendo il corso ghiacciato dello Yentna river che scorre sotto i nostri piedi coperto da oltre un metro di ghiaccio. Il crepuscolo sembra non finire mai, fa più freddo ora, mi copro meglio, metto la frontale e continuo a tirare la mia slitta. Nel buio, in completa solitudine, ogni tanto una luce : a volte sono slitte trainate dai cani, con i musher a incitarli, a volte sono altri concorrenti, i primi che già hanno completato il turnaround e stanno tornato indietro. Ti passano accanto nella notte, ti gridano un “good job”, così come faranno tutti gli altri concorrenti che incontrerò, e spariscono di nuovo inghiottiti dal buio. Mi fermo una mezz’ora a Luce’s Lodge e proseguo verso Alexander lake , a poco più di 53 miglia e da lì il percorso verrà rifatto in senso contrario per una buona parte. Ogni tanto si avvicina da lontano il rumore di una motoslitta dell’organizzazione, rallenta vicino a te , ti grida un “allo ok man?” e quando vede che alzi il pollice riparte lasciandoti solo per altre ore. Avanti ancora, con i piedi fradici, il naso che cola , la slitta che ti da uno strappo all’indietro ad ogni ondulazione del terreno .
L’alba è lunghissima, una luce che impiega ore ed ore a crescere in maniera impercettibile fino a diventare di nuovo giorno. Oggi il cielo è nuvoloso, il gruppo del Mount Susitna si staglia sullo sfondo di un cielo grigiastro. Sono di nuovo a Flat Horn Lake, tardo pomeriggio del secondo giorno. Mancano ancora 17 miglia all’arrivo e saranno davvero interminabili: una lunga linea diritta che taglia in due boschi e spazi aperti, e all’inizio della notte sarà incorniciata da una mini aurora boreale che con i suoi rossi e arancioni ritmerà la fatica delle ultime migliaia di passi. All’arrivo, poco dopo la mezzanotte, Rita mi accoglie con un sorriso, con il classico “well done man” e la notizia che non ci sono più posti per dormire nel piccolo lodge. Apro la sacca della slitta, srotolo il materassino e mi infilo nel sacco a pelo per qualche ora di sonno. La prima persona che vedo al mattino è un buffo concorrente che, con un pesante accento straniero, mi chiede un passaggio sino ad Anchorage. Faccio amicizia con questo racer, un italiano e rientro ad Anchorage. Il tempo di cambiarsi, un altro paio d’ore di sonno, poi insieme ci ritroviamo con gli altri concorrenti in un teatro dove , fra una fetta di pizza ai peperoni e una Pepsi, si svolgono le premiazioni. Quando mi chiamano mi alzo un po’ traballante sulle gambe ancora indolenzite, salgo sul palco dove Brooks mi da la fibbia: sono di nuovo un finisher della Susina 100 miles, good job Ken.
Ken esiste davvero. Fa il medico a Denver in Colorado. E’ sposato e ha due figli, Keith e Kenneth jr ed ha partecipato a 10 edizioni della Susitna 100, concludendone 7. E’ grazie a lui, alla sua amicizia, alla sua umanità, oltre che alla complicita di una serata di birre al Moose’s Tooth, che questa Susitna 100 per me non è stata solo una corsa, ma soprattutto un’esperienza di vita che mi porterò nel cuore a lungo.
Ken esiste davvero. Fa il medico a Denver in Colorado. E’ sposato e ha due figli, Keith e Kenneth jr ed ha partecipato a 10 edizioni della Susitna 100, concludendone 7. E’ grazie a lui, alla sua amicizia, alla sua umanità, oltre che alla complicita di una serata di birre al Moose’s Tooth, che questa Susitna 100 per me non è stata solo una corsa, ma soprattutto un’esperienza di vita che mi porterò nel cuore a lungo.
Thanks Ken, again, good job ...
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